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L'Inconscio Sociale

L'INCONSCIO SOCIALE


Dall’Inconscio Sociale alla Psicologia di Comunità a Vertice Gruppoanalitico


Il concetto di inconscio sociale trova le sue origini principalmente nella sociologia, nell’antropologia e nella psicoanalisi. Foulkes (1964) nell’ambito della tradizione gruppoanalitica, attribuì una particolare importanza all’identificazione e all’analisi delle realtà sociali, sia ai livelli interpersonali sia transpersonali, utilizzando in alcuni lavori il concetto di inconscio sociale. Tuttavia, l’autore che ha dato un importante contributo attraverso una delle teorizzazioni più stimolanti sul piano scientifico e nell’area del lavoro clinico, è Earl Hopper. Egli introduce due concetti fondamentali: quello di inconscio sociale e quello di equivalenza.

L’inconscio collettivo di Jung è “quel sedimento dell’esperienza e insieme, in quanto apriorità dell’esperienza stessa, un’immagine del mondo attraverso la quale si sono venuti delineando determinati tratti, i cosiddetti archetipi o dominanti, vale a dire simboli e rappresentazioni, modelli comportamentali e forme di sofferenza come espressione del vissuto umano universale”.

Per Hopper (1997) l’individuo non può avere conoscenza delle manifestazioni dell’inconscio sociale, nonostante la grande influenza che ha su di noi; esso rientra nella sfera del “non noto”, come le fantasie e gli istinti. La sua comprensione si scontra con una serie di resistenze personali e sociali; ad esempio, accettare l’esistenza di una “causalità sociale”, vale a dire di una relazione di causa effetto del sociale sul mentale, costituisce un duro colpo al nostro concetto di libero arbitrio.

Secondo Dalal,l’inconscio sociale è una rappresentazione dell’istituzionalizzazione delle relazioni sociali di potere nella struttura stessa della psiche. In tal senso è un ponte tra il sociale e lo psicologico; il materiale di questo ponte è la lingua, o secondo la formulazione di Elias, il simbolo. Dalal sostiene che l’inconscio sociale va distinto dall’inconscio collettivo e critica Foulkes per averli definiti entrambi primordiali. D’altra parte Foulkes ha affermato che l’inconscio sociale è inconscio ma non rimosso, nel senso che non se ne è consapevoli, non perché sia stato respinto; mentre l’inconscio freudiano è sia rimosso e che inconscio.

L’altro concetto, cui ricorre l’autore per spiegare i condizionamenti sociali sulla vita intrapsichica e i processi interpersonali, è l’equivalenza.  In vari tipi di sistemi sociali, le persone tendono inconsciamente a ricreare situazioni (azioni, fantasie, relazioni e interessi) avvenute in altro tempo e luogo, in modo che la nuova situazione possa essere intesa come equivalente alla vecchia. L’equivalenza, quindi, è basata sull’inconscio sociale, ma è analoga, soprattutto alla creazione da parte di una persona di sogni, fantasie inconsce che provengono dalla mente inconscia.

Questi due concetti possono essere utili a chi si occupa sul piano terapeutico di gruppi o di individui, perché ci dicono come ricreano nel setting terapeutico, vari aspetti del trauma sociale avvenuto in altro tempo e luogo. Hopper descrive molti eventi clinici nei quali il sociale s’insinua nella psiche. Egli dimostra che l’interpretazione completa dovrebbe includere, oltre l’analista, il passato e gli oggetti interni, anche il contesto sociale in cui si danno le situazioni.

Un notevole apporto allo studio dei collegamenti tra sistemi mentali e sistemi sociali, è venuto negli ultimi dieci anni, dall’elaborazione di teorici e clinici siciliani di formazione gruppoanalitica, interessati ai temi del pensare e dell’agire politico nei suoi rapporti con la soggettività individuale. Di Maria e Lavanco (2000), affronta la questione politica, così presente anche nel pensiero di Hopper. Egli afferma che la politica è soprattutto un modo di concepire e regolare i rapporti all’interno dell’interumano della comunità.

La politica è fortemente presente e costituiva dell’immaginario sociale; ad esso attiene la dialettica tra la soggettività e le presenze collettive. La politica è un prodotto transpersonale, è interna ed esterna al soggetto, lo attraversa, s’intreccia con la cultura, la produce e ne è prodotta; essa ha una funzione di partecipazione attiva alla costituzione di schemi mentali che supportano il rapporto uomo-mondo. Gli Autori, hanno colto nella psicologia della convivenza, oltre che nella condivisione di un paradigma unitario quello gruppoanalitico il filo che unisce una serie di differenti tematiche.

La psicologia della convivenza nasce dal dialogo con alcune discipline: con la psicologia ambientale che si propone di individuare gli aspetti naturali o progettati del mondo che possono avere un’influenza causale sulla salute e il benessere degli individui. Tuttavia, questa disciplina trascura l’importanza del cambiamento e dei processi di adattamento ad esso da parte degli individui, tanto meno il modo in cui gli individui percepiscono l’ambiente, lo interpretano e lo costruiscono.

Il dialogo con la psicologia sociale e la psicologia clinica, per quel che riguarda l’obiettivo, il metodo e per l’orientamento al cambiamento e all’attivazione dell’empowerment   organizzativo e collettivo, e alla promozione del benessere.

La psicologia della convivenza intende considerare sia quanto la dimensione sociale contribuisca alla determinazione dei problemi individuali, sia quanto il sociale possa costituire, in ottica preventiva e di intervento, una risorsa per l’individuo, i gruppi e la comunità. Questo approccio permette di ritrovare le dimensioni sociali degli fatti psichici e le dimensioni soggettive che entrano negli eventi sociali.

Il vertice di osservazione è quello gruppoanalitico che tiene conto del mondo interno dell’individuo e parallelamente del mondo esterno in cui egli vive. Il sociale è visto come intersecato a più livelli con il campo mentale individuale.  La gruppoanalisi è intesa non soltanto come modello clinico-terapeutico, bensì come teoria della mente, della personalità, dell’intersoggettualità e dell’organizzazione psichica del sociale.  Essa pone attenzione ai problemi dell’identità dl sé, in altre parole sul rapporto tra soggettività e transpersonale, poiché si parte dal presupposto che non può esistere una soggettività senza un mondo che la strutturi.

L’identità è concettualizzata come lo snodo tra identità personale e identità d’appartenenza.  E’ proprio con il concetto di transpersonale che si può individuare il “ponte” tra psicologia di comunità e gruppoanalisi. Esso viene definito come “l’impersonale collettivo che attraversa la nostra identità più intima”.

Il transpersonale permette di radicare il soggetto da un lato alla sua storia personale e specifica, dall’altro all’interno del proprio ambiente di vita (micro e macro). Il primo livello, biologico-genetico si riferisce a ciò che è biologicamente inserito nel codice genetico umano e condizionato dal rapporto in continua evoluzione con l’ambiente; il secondo livello etnico-antropologico, include tutti gli aspetti macroantropologici e macroistituzionali comuni a grandi masse di uomini (miti, religioni, linguaggi): quello transgenerazionale è relativo alla famiglia di origine, intere reti di parentela e plexus relazionale con cui il bambino viene a contatto; quello istituzionale si riferisce agli aspetti psicosociali presenti e recentemente trascorsi, del vivere umano in aggregazione.

Lo sforzo della psicologia di comunità di allargare l’indagine dell’ambiente di vita immediato del soggetto alla realtà dei gruppi, della comunità del più ampio contesto sociale e politico in cui è inserito, è stato svolto parallelamente anche dalla gruppoanalisi italiana, che ha individuato i livelli socio-comunicativo e politico-ambientale, del trans-personale. Il primo contempla la dimensione macrosociale contemporanea ed i fenomeni che la trasformano influenzando il nostro mondo, i suoi sistemi socio-organizzativi e i modi di vita. Attraversa in maniera sincronica gli altri livelli del transpersonale nel “qui e ora”, ma non è sufficiente a leggere l’immediatezza delle relazioni e dei processi che il soggetto vive.

Il livello politico-ambientale del transpersonale, invece, permette la fondazione di una comunità di soggetti, che è polis, agorà, delle dinamiche intersoggettive, spazio di confronto e di crescita. L’ambiente in cui l’individuo è inserito diventa, quindi, spazio delle aspettative, delle relazioni emotive delle ansie, dei fallimenti.

La formulazione gruppoanalitica del transpersonale, pertanto, consente di inquadrare la problematica della divisione dello spazio comune, e dunque della politica, in una prospettiva orientata al bene collettivo grazie alla concettualizzazione dell’in-dividualità come pluralità piuttosto che come monade isolata.

BIBLIOGRAFIA

Foulkes definisce plexus, la rete, il sistema totale di persone raggruppate in base alla loro relazione, nella sua parte più intima.

Dalal F. (2002),
“Elementi di una teoria gruppoanalitica postfoulkesiana” da Prendere il gruppo sul serio. Raffaello Cortina.

Aut.sanit.n°66 del 21-05-2003
P.I.08501381001
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